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05/07/2020
Omelia del Cardinale Filoni per il 50° di ordinazione sacerdotale
Il Salmo 83 è detto il ‘Canto del Pellegrinaggio’. Nella Liturgia delle Ore, che è la Preghiera dei sacerdoti e dei consacrati chiamati a scandire con essa la propria giornata, si recita il seguente versetto: “Beato chi trova in Dio la sua forza e decide nel suo cuore il santo viaggio†(v. 6). Questa espressione contiene una benedizione per chi intraprende nella fede un ‘viaggio’, un ‘cammino’ spirituale che comporti un impegno di grande rilievo personale: penso al battesimo, a chi accede al matrimonio cristiano, ma anche alla scelta di vita sacerdotale e consacrata.
Come sacerdote ho recitato questo versetto ogni qual volta la Liturgia me lo ha posto dinanzi; è stato come rinnovare la domanda di benedizione per l’impegno assunto, quello che per me è coinciso con l’ordinazione sacerdotale, il 3 luglio 1970, nella Chiesa Madre di Galatone, avvenuta per le mani del Vescovo Antonio Rosario Mennonna, di venerata memoria, e trovare in Dio il sostegno per la fedeltà a Lui e alla grazia sacramentale ricevuta.
Oggi sono cinquant’anni di vita sacerdotale; un traguardo raggiunto attraverso un ampio spazio della mia esistenza, che è coinciso con un periodo di rilievo della vita della Chiesa, che ho amato e servito. Si tratta dei cinquant’anni dopo il Concilio Vaticano II, trascorsi dapprima nel servizio parrocchiale a Roma e poi della Sede Apostolica; di essi venti come Vescovo. Ho vissuto molti anni in vari Paesi: Sri Lanka, Iran, Brasile, Cina/Hong Kong, Iraq, Giordania e Filippine; di ognuno ricordo tutto: eventi, vita ecclesiale, persone. Ho incontrato rischi e soddisfazioni. Ho visitato regioni pastorali in Africa, Asia e America Latina al fine di conoscere e incoraggiare la missionarietà e l’evangelizzazione dei popoli. Ho collaborato da vicino con tre Pontefici: Giovanni Paolo II, oggi Santo, Benedetto XVI, un padre e un maestro, e l’attuale Pontefice. Ho incontrato grandi personalità ecclesiali, come Madre Teresa di Calcutta, nonché martiri in odio alla fede come Suor Cecilia Moshi Hanna, domenicana di Bagdad (2002), e il giovane sacerdote Ragheed Ganni di Mosul (2007); inoltre, numerosi laici e sacerdoti confessori della fede per molti anni nelle prigioni cinesi, uomini politici di ogni livello e tante persone semplici che ogni giorno tessono le fila della fede e della carità in famiglia e nella società ; profughi drammaticamente sopravvissuti all’Isis e a guerre e, infine, tanti religiosi e religiose di grande spessore umano e spirituale e confratelli nel sacerdozio affettuosi. È stato un camminare insieme. Non mi è mai mancato, anche se per brevi periodi, il tempo per ritornare nel mio paese di origine: qui, dove sono sepolti i miei genitori ai quali va oggi un grato e affettuoso pensiero, dove vivono parenti ed amici che saluto con affetto e per il loro sostegno in tante circostanze.
A motivo della pandemia, che sta affliggendo tutto il mondo, e di cui conosciamo il drammatico peso, non pensavo ad alcuna celebrazione pubblica; in circostanze simili forse è conveniente una giornata di raccoglimento e di ringraziamento silenzioso a Dio. Tuttavia, il Vescovo della nostra Diocesi di Nardò-Gallipoli, Mons. Fernando Filograna, si è premurato di organizzare, con il clero e il Sindaco di Galatone, questa Celebrazione che, come vedete, si svolge in modo adeguato alle circostanze. Grazie vivissime per l’impegno generosamente profuso e per questo segno di personale attenzione.
Un sacerdote sa bene, fin dai tempi della sua preparazione al ministero sacro, che egli ha sempre davanti a sé due compiti primari a cui dedicarsi: il primo - secondo l’insegnamento biblico - è la dedizione all’Altissimo: “Amerai Dio con tutto il tuo cuore†(Dt 6, 5; Mt 22, 37); San Cipriano, vescovo e martire, insegnava di non “anteporre nulla a Cristoâ€. È un bell’insegnamento da tenere a mente. Il secondo, accanto allo stesso impegno, è l’esercizio della carità pastorale, cioè il servizio al prossimo e a quanti il Signore gli affiderà ed egli incontrerà nel proprio cammino.
In sommo grado, la dedizione a Dio e la carità pastorale avvengono quotidianamente nella preghiera, sia personale, che liturgica e il cui centro è l’Eucaristia. Nell’Eucaristia troviamo il momento culmine tanto della vita spirituale e sacramentale della Chiesa, quanto della vita del sacerdote. Affidando questo Dono supremo ai suoi Discepoli con le parole - Fate questo in memoria di me (Lc 22, 19) - e poi da essi consegnato ai loro successori, Gesù stesso continua a ri-attualizzare il Mistero della propria morte e risurrezione; Mistero grande di salvezza e di amore infinito per l’umanità . Il sacerdote, dunque, perpetua l’Offerta di Cristo al Padre, cioè permette a Gesù di ri-proporla in ogni tempo e luogo prestandogli la sua voce e il suo essere; al tempo stesso, al sacerdote è permesso di essere associato a Cristo nella sua Offerta all’Eterno.
Nella celebrazione dell’Eucaristia, infatti, il Signore accoglie l’invocazione e la preghiera della Chiesa, che lo implora sacramentalmente: Vieni Signore Gesù, Maranà tha! (Ap 22, 20), ad esprimere l’attesa impaziente nel tempo della Chiesa pellegrinante.
Troviamo, dunque, nell’Eucaristia due linee convergenti: Gesù che chiede alla Chiesa di rinnovare la sua Offerta al Padre, e la Chiesa che domanda a Gesù di essere unita a lui nella medesima Offerta. Il sacerdote ha questa missione. Da essa deriva poi ogni opera di evangelizzazione, di perdono rigenerativo della vita di Grazia e di cooperazione nel servizio della pace e del bene nel mondo.
Da queste poche linee si può intuire che il sacerdozio di Gesù non è una particolare attività in mezzo alle altre del Figlio di Dio venuto nella carne. È la mediazione redentrice della Persona del Cristo. Il suo sacerdozio non è dinastico, non è elettivo come per una carica democratica, né intende creare una ‘casta’. Nemmeno comporta adattamenti umani, come spesso si vorrebbe, per renderlo, per così dire, più moderno e attraente e magari risolvere certi bisogni vocazionali o pastorali, seppur nobili. Gli stessi Apostoli si guardarono bene, dinanzi alle accresciute esigenze della primitiva comunità cristiana, di mutare la volontà del Maestro; scelsero uomini per il servizio della carità istituendo il Diaconato, ma riservando a sé il Ministero dell’Eucaristia (preghiera) e della Predicazione (parola) (cfr. At 6, 4).
Il sacerdozio di Cristo, a cui il sacerdote accede per ‘elezione’ divina e per la conferma della Chiesa, è, dunque, per natura un Dono soprannaturale; è un’azione in cui concorrono la dimensione soprannaturale per l’effusione dello Spirito Santo, e quella umana per la generosità della persona. Con la vita celibataria, poi, il sacerdote diviene l’«amico dello sposo», il Cristo. Giovanni Battista, nell’incontrare Gesù presso il Giordano, si riteneva non il cugino di Lui, ma l’“amico dello sposoâ€, rallegrandosi per averne ascoltato la voce: “Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere; io, invece, diminuire†(Gv 3, 29-30). Paolo VI (Sacerdotalis caelibatus), Giovanni Paolo II (Ecclesia de Eucharistia) e Benedetto XVI (Sacramentum caritatis) hanno mostrato che il celibato “rappresenta una speciale conformazione allo stile di vita di Gesù stesso†(SC n. 24) e Francesco lo dice “una regola di vita e un dono per la Chiesa†(intervista 27.5.2014).
Non vorrei concludere questi pensieri senza un breve riferimento alla Liturgia della Parola di oggi, che, nella prima Lettura (cfr. Zc 9, 9-10) invita ad esultare grandemente; invito, tanto più pertinente, quanto più si pensi al Dono lasciato da Gesù e ricevuto dalla Chiesa. In visione, il Profeta Zaccaria intravedeva il Messia - giusto, umile e vittorioso - che, come dice poi San Paolo nella seconda Lettura (cfr. Rm 8, 9. 11-13), ha vinto la morte e dona la vita. Tuttavia, in questa occasione è il Vangelo (cfr. Mt 11, 25-30) che attrae la mia attenzione, perché è il brano della preghiera che il Signore rivolge al Padre per i suoi. Sono parole che sento valide per me e vorrei far mie, associandomi alla preghiera di Cristo:
Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra per il ministero sacerdotale lasciato alla tua Chiesa nella generosità e nella benevolenza. Grazie per avermi concesso di ricevere lo stesso ministero del Figlio tuo Gesù Cristo e di avermi associato alla sua missione sacerdotale; grazie per la conoscenza che tramite Lui abbiamo di Te, creatore e soprattutto Padre misericordioso. Grazie perché hai permesso che Gesù redentore prendesse su di sé anche il mio giogo, la mia stanchezza, le mie paure e la mia croce. Grazie per la consolazione dello Spirito Santo e per questi cinquant’anni di vita sacerdotale nel servizio dell’Eucaristia e della Carità pastorale nella Chiesa e per tutti quei fratelli e sorelle che mi hanno accompagnato in tutti questi anni. Amen.
Fernando Cardinale Filoni
4 luglio 2020
Autore: oessg.va
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